RECENSIONE: Racconta la storia di un saloon italiano mancino

Gli spettatori seduti sul palco in una discussione informale semicircolare saranno accolti da attori vestiti con maglioni rossi su cui si legge Proslov k národ, mentre il colore rosso e il carattere tipografico giocano con il titolo del logo del Teatro Nazionale. Gli spettatori vengono avvertiti che sarà richiesta la loro partecipazione attiva e certi che non sarà poi così male.

Gli attori con racconti apparivano davanti a loro uno dopo l’altro. Alcuni di loro sono autentici e il loro contatto con il pubblico non violento (Saša Rašilov, Filip Kaňkovský), altri sono più divertenti (Petr Vančura), altri si sforzano maggiormente di comunicare con il pubblico (Lucie Juřičková, Tereza Vilišová, Jindřiška Dudziaková ). Attirano il pubblico, ma non lo costringono ad agire.

Foto: Jan Hromadko

Saša Rašilov e Filip Kaňkovský in una delle poche scene recitate.

Affinché la cosiddetta comunicazione abbia successo, hanno mobilitato degli alleati tra il pubblico, che gradualmente si uniscono all’azione come se fossero loro stessi. Ciò però relativizza fortemente l’immediatezza e la non violenza di questa comunicazione.

Narrazioni individuali più o meno divertenti e che assumono la forma di metafore ingenue o più nascoste discutono argomenti “attuali”, dal capitalismo consumistico all’immigrazione, dalla xenofobia all’alterità, alla corruzione, alla mafia, alla mascolinità, al queer e altri. Fatto bene e con il dito alzato secondo il maestro.

Tutto questo è avvenuto sulla superficie di un fiume che è durato quasi due ore senza fermarsi. E sfortunatamente, date le visioni un po’ semplificate degli intellettuali da salotto occidentali di sinistra, questo è un atteggiamento piuttosto intollerabile, soprattutto per coloro che, a differenza dell’autore, vivono nella realtà da molti anni.

Foto: Jan Hromadko

Filip Kaňkovský con la maglia rossa della nazionale.

Anche la direttrice Petra Tejnorová ne sapeva poco. Questa produzione gli ricorderà il suo lavoro un po’ stereotipato con gli studenti del Dipartimento di Teatro Alternativo e Marionette della DAMU.

L’apice di quella ignorante ignoranza di sinistra è la scena in cui il pubblico, mentre canta la “hit di velluto” Someday, sarà continuamente coinvolto negli eventi multiculturali che si verificheranno, che ricordano un festival di canti e balli socialisti.

Se dovrebbe essere una parodia ironica, non viene molto bene. Inoltre, su questo palco, nel novembre 1989, iniziò una serata di discussione politica cantando la stessa canzone. Ma allora era ancora “davvero”.

Ascanio Celestini: Discorso alla Nazione
Traduzione di Tereza Sieglová, montaggio e regia di Petra Tejnorová, arrangiamenti di Dragan Stojčevski, costumi di Adriana Černá, musica di Ian Mikyska. Ha debuttato in Repubblica ceca il 6 e 7 giugno alla Nové scéna ND, Praga

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Marinella Castiglione

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