La sua morte in qualche modo lo ha riportato in vita. Sono passati quasi vent’anni da quando abbiamo sentito parlare di Monica Vitti, oggi elogiata dai media internazionali. La stampa nazionale a volte si chiede ancora cosa sia successo e i nuovi dati fanno ben poco per convincere il pubblico. Questa magnifica bionda, che ha sedotto a lungo gli italiani, è diventata un riflesso di se stessa. L’attrice ha interpretato il suo ruolo peggiore come malata di Alzheimer. Diversi anni fa avevo letto un articolo illustrato da alcune fotografie deprimenti, scattate con un teleobiettivo. Monica non conosce più, secondo il testo pubblicato, nemmeno la sua identità. Tragici echi delle domande “antonioniche” degli anni Sessanta…
Oggi dopo che tutto si è concluso con la morte dell’attrice all’età di 90 anni, i giornalisti stanno resuscitando principalmente nei paesi francofoni il traduttore dei film di Michelangelo Antonioni, che è rimasto a lungo suo compagno. C’era da dire che avevano fatto scalpore al festival. “L’avventura” del 1959 fu seguito da “La notte”, poi “L’eclisse” e infine “Il deserto rosso”. Una specie di tetralogia, come Richard Wagner. A volte bionda, a volte bruna, Monica incarna l’Italia contemporanea in quattro luoghi diversi (Sicilia, Roma, Milano e Ravenna). Una donna confusa che cerca se stessa, senza poter dialogare con gli altri. Era la famigerata “incapacità di comunicare”, che può essere considerata una caratteristica di un Paese precedentemente impoverito, scosso dall’euforia degli anni di “esplosione” economica. La prosperità ha cambiato le persone, le ha fatte smarrire.
Con queste opere brillantemente spiritose, alcune delle quali (“Il deserto rosso…) potrebbero non invecchiare bene, Monica Vitti è diventata una star. Maria Luisa Ceciarelli, una ragazza complessa che trova nel teatro (Shakespeare, Brecht, Molière…) identità e una via d’uscita, incontra improvvisamente la gloria. È venuta da lui un po’ tardi secondo criteri transalpini. Nel 1959, l’anno in cui “L’avventura” uscì a Cannes, l’attrice aveva 28 anni. Ha tre anni più di Sophia Loren, una star a 19 anni. Ed è improbabile che la donna provi lo stesso fervore popolare. Il cinema Antonioni è stato visto da tre intellettuali e mezzo in Italia nelle arti e in sala prove. A Monica manca il pubblico della sala del quartiere, dove la settima arte rimane un passatempo popolare nonostante il lento progresso della televisione.
Dopo aver rotto con Antonioni (avrebbero lavorato di nuovo insieme), Monica Vitti potrebbe quindi scomparire. L’uomo che “giocava per non morire”, come dirà poi, sarebbe entrato a far parte di “Polvere di stelle”, per usare il titolo del film girato poi con Alberto Sordi. Hollywood non gli piace, così come Gina (Lollobrogida), Sophia (Loren), Anna (Magnani) o Silvana (Mangano). Il tentativo di “Modesty Blaise” di Joseph Losey, una parodia dei film di spionaggio, non lo ha convinto. Pertanto, il salvataggio arriva dal Paese stesso, e nella forma più inaspettata. Era una delle “commedie italiane”. Per lui i connazionali ricordano oggi le spoglie di Vitti.
Il genere subisce quindi una mutazione. Capace di interpretare una varietà di personaggi, ma chiaramente nata tra Milano e Messina, Monica potrebbe sostituire Catherine Spaak. Un belga che incarna gli ideali internazionali degli anni del boom economico. Pertanto, interpreterà personaggi popolari che si trovano a contatto con le realtà sociali. Gli italiani allora non avevano paura di far ridere con argomenti spaventosi. Non esiste una verità politica. Molti dei film di Vitti sono oggi inimmaginabili. Penso ad esempio allo sketch (1) in cui Monica si ritrova sul marciapiede a pagare il suo nuovo frigorifero sotto l’occhio vigile del marito sconvolto. Ha finito per amare non la prostituzione, ma il consumo. Ora ha bisogno di un altro utensile per la casa…
Monica Vitti da allora ha lavorato con tutti i registi che realizzano il genere. Dino Risi, naturalmente, con il quale nel 1971 fece “Noi donne siamo fatti cosi”, in cui interpretò dodici ruoli diversi. Ma anche Ettore Scola e il suo geniale “Dramma di gelosia” (un film che farebbe urlare oggi in nome della violenza sulle donne), Luciano Salce, Mario Monicelli, i registi Alberto Sordi o Carlo di Palma. Marcello Fondato gli permetterebbe addirittura di recitare in un musical: “Nini Tirabuscio”. Un film straordinario, sullo sfondo dell’Italia 1900-1914 in bilico tra anarchia sfrenata, emigrazione forzata e ubiquità del clero. Questi titoli avrebbero mantenuto Vitti ai vertici fino agli anni ’80, prima che iniziasse a produrre o addirittura dirigere con “Scandalo segreto” nel 1990. Un’epoca in cui il cinema italiano, un tempo così vivace che gli spaghetti western soffrivano.
Ma come viene promosso sul palco Vitti, il personaggio buffo, quando lui stesso si dice ansioso e oppresso? Sembra difficile. Meno probabile di Lollobrigida, che non vuole collaborare con il regista che è all’altezza del suo nome. Ma ricordo di aver chiesto un pomeriggio a Ginevra con Mario Monicelli (ragazzo delizioso) se avesse mai avuto seri problemi con i suoi attori e attrici. Mi aveva detto di no. “Non c’è niente di più facile che lavorare con Silvana Mangano o Sophia Loren.” Magnani è molto più doloroso di quanto detto. Sono anche riuscito ad andare d’accordo con Monica Vitti. Comunque, un grande rompipalla (Monicelli era solito dire “rompipalla”)! Scusate la volgarità, ma deve finire con una nota comica italiana.
(1) Cinecittà amava i film a episodi degli anni ’60 e ’70, l’equivalente di una raccolta di racconti cinematografici.
Nato nel 1948, Etienne Dumont fece uno studio a Ginevra che gli fu di scarsa utilità. Latino, greco, a destra. Avvocato fallito, si dedicò al giornalismo. Più spesso nella sezione culturale, dal marzo 1974 al maggio 2013 ha lavorato alla “Tribune de Genève”, iniziando con il cinema. Poi vennero le belle arti e i libri. A parte questo, come puoi vedere, non c’è nulla da segnalare.
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“Inguaribile piantagrane. Professionista televisivo. Sottilmente affascinante evangelista di Twitter. Imprenditore per tutta la vita.”
– Monica Vitti è la regina della commedia italiana
La stampa ha elogiato il traduttore intellettuale del film di Antonioni. Ma la popolarità gli è arrivata in seguito con film divertenti e piccanti.